Mi è stata accesa una lampadina nella mente, pochi giorni fa, con questa affermazione.

Si parlava di organizzazioni: riuscire a tenere separato il giudizio sul comportamento di un individuo, piuttosto che sulla persona in sé, rende un’organizzazione capace di rivedere il proprio funzionamento senza intaccare le relazioni fra individui.

Un’organizzazione che spinge le persone a non sentirsi sbagliate, ma che stimola ad evidenziare e analizzare comportamenti che hanno espresso errori, è un’organizzazione viva e capace di evolversi.

Capire che, chi sbaglia, non lo fa perché é sbagliato lui, ma perché agisce un comportamento sbagliato (e pertanto osservabile, comprensibile, migliorabile, prevedibile) raffredda dinamiche che potrebbero diventare distruttive.

Interessante.

Ma, se ci pensiamo, anche la società è una forma di organizzazione, così come la famiglia.

Se focalizzare l’attenzione sul comportamento permetterebbe di non entrare troppo in profondità con il coltello del giudizio, allo stesso tempo metterebbe in discussione categorie con le quali siamo stati abituati a classificare il mondo, e che per certi versi rappresentano una necessità.

Quante volte, allora, bisognerebbe comportarsi da narcisisti per essere narcisisti?

Qual è il confine fra comportamento egocentrico e persona egocentrica?

Forse la prevedibilità delle sue azioni future?

Un ladro è tale perché ha rubato in passato, o perché potrebbe farlo ancora?

O non esistono i ladri, ma solo comportamenti ladreschi?

Considerare il comportamento come problema, e non la persona, rappresenterebbe certo un passaggio di qualità enorme dal punto di vista culturale.

Ma, contemporaneamente, annacquerebbe un sistema, psicologico e sociale, dove la caccia alla persona sbagliata svolge ancora una funzione fondamentale.

Di liberazione, di assoluzione, di aggregazione.

Siamo pronti per questa evoluzione?

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