Una delle dimensioni più familiari che conosce l’essere umano è il silenzio.
Ma forse, più che di dimensione, sarebbe opportuno parlare di esperienza.
In ogni epoca l’uomo ha conosciuto, e pesato diversamente, l’esperienza del silenzio. Esso è stato via via una scelta, una condanna, una risposta, un tradimento e un atto d’amore. Una rinuncia e una conferma.
Generalmente si associa, al silenzio, l’assenza: di rumore, di voce, di suoni.
Il silenzio viene identificato come la mancanza di qualcosa: una definizione in negativo, legata ad una sola percezione.
Ma esistono tanti tipi di silenzi, che hanno il potere di generare elementi paradossalmente contrari all’idea di assenza.
Silenzi che riempiono gli spazi, i vuoti; silenzi riempiti dagli altri elementi sensoriali e da percezioni che non sono propriamente sensoriali.
Il silenzio della classe, priva della confusione familiare, che diventa premonitore per l’insegnante.
Il silenzio improvviso, in un luogo affollato, che ci mette sull’attenti.
Il silenzio, denso di imbarazzo, che segue una domanda sbagliata.
Il silenzio dopo l’ultima nota di una canzone che ci ha emozionato.
Il silenzio terrificante che precede l’attacco.
Sono tutti silenzi densi di significato, che definiscono qualcosa, costruiscono e demoliscono relazioni, comunicano e colorano.
In un mondo soffocato dai rumori di sottofondo, sarebbe bello usare il silenzio come una materia nuova, l’impasto non-violento con cui ricostruire e riempire gli spazi.
Vorrei allora mettere, in questa confusione, abbastanza silenzio per rendere visibile l’uomo.
È parte della vita e ci abbraccia spesso. Bisogna riempirlo di colori ,di profumi e di sospiri…dipende dal nostro cuore se farlo diventare incubo o piacere….