Ho ricevuto una mail da Daniela, una collega A.S. che ha letto Il punto estremo.

Ogni tanto penso che l’attività di scrivere sia fra quelle che arricchiscono di più, ovviamente in senso lato.

Questo lo metto fra i riconoscimenti più preziosi:

 

Carissimo,
ci ho messo un po’, ma meritava di essere ponderato il mio pensiero sul tuo libro.

Inizio da una frase che è stata poesia, ma anche crudele realtà: “Ma alla fine, il valore di una vita cambia?” – che valore ha una vita? Sia essa di una donna malata, di un uomo anziano o di un bambino mai nato?

Quanto pesa il dolore di chi si deve lasciare andare, ma soprattutto di chi rimane in vita e deve metabolizzare? Atroce. Crudo. Profondo. Ironico. L-a-c-e-r-a-n-t-e.
Ho sempre pensato “alla fine”, come a qualcosa di indefinito, di letale, di indescrivibile e solo dopo aver vissuto la perdita di persone che amavo profondamente mi sono resa conto quanto sia difficile il “dopo”, quanta forza ci vuole a non odiare la vita, a non piangere per ogni cosa, a trattenere e prendere a giuste dosi i ricordi e a tenersi a galla… ascoltare, forse, è una delle ricchezze più belle che la professione ci ha concesso, per quanto a volte ci opprime; dalla capacità di affrontare il dolore da parte degli altri troviamo il giusto equilibrio personale.
Hai usato parole forti, descrizioni delicate e toccanti. Il tocco di una madre, la capacità di cercare la donna amata proprio lì dove vuole “andare”, la ricerca ironica della fine proprio quando sta per arrivare.
Grazie, per avermi regalato una lettura così, che al punto giusto tocca, accarezza e fa riflettere.
Aspetto di acquistare il tuo ultimo capolavoro.

Con affetto, Daniela

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