Ogni tanto qualcuno mi chiede che mestiere faccia.

L’assistente sociale, rispondo.

Questa informazione genera a volte delle reazioni strane, dei sorrisetti a metà bocca che sottintendono tante cose, non sempre e non tutte positive.

A quel punto cerco di arrotondare il concetto, aggiungendo che non ho mai portato via bambini ad alcuno; che cerco di garantire i diritti all’assistenza di chi ne ha bisogno, osservando, ascoltando e cercando di capire. Sapendo che il tempo mi aiuterà a distinguere chi ci prova davvero, ad uscirne, e chi no.

Specifico che, se in Italia un bambino su dieci vive in povertà assoluta, per me è una sconfitta solo l’idea che qualcuno preferisca usare i soldi per comprare degli aerei da guerra.

Concludo che, tendenzialmente, non riesco a sopportare quelli che mi chiedono favori per i loro amici, specialmente se sono intrallazzati con politici, di qualsiasi colore.

Rifletto, infine, sul fatto che di miracoli non ne ho mai visti, che la soddisfazione massima è nello stare CON le persone. E che la provvidenza, paradossalmente, si palesa con scarsa frequenza nel mondo degli ultimi.

A questo punto l’interlocutore dubbioso di solito ha smesso di sorridere e qualche volta aggiunge, con la coerenza della persona intellettualmente onesta: “Non dev’essere un mestiere facile.”

No, non lo è.

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