«Socrate ha dormito con lui gli ultimi tre giorni, e stamattina era così» gli disse Alessia.
Socrate era il gatto della casa di riposo.
Una presenza silenziosa, frusciante e quasi mistica. Ambito da tutti per una carezza, passava le giornate a bighellonare per i corridoi o in giardino, nella bella stagione. La sera si acciambellava in fondo al letto di uno degli ospiti, cambiandolo ogni sera e regalando un senso di fugace privilegio, che diventava immancabilmente l’argomento di discussione del mattino successivo.
Era stato portato a Villa Mazzanti da Alessia anni prima, sfidando il senso istituzionale e asettico del luogo, ma sostanzialmente senza trovare ostacoli. Immediatamente adottato dalla comunità di anziani, memori e nostalgici di una vita passata assieme agli animali domestici, ogni tanto, con la capacità tipica dei felini di andare oltre le cose terrene, si avvicinava a qualcuno che stava finendo i suoi giorni e passava con lui quelle ultime ore.
Gli operatori avevano notato che la sua presenza sembrava quasi lenire la sofferenza del morente, ne favoriva il trapasso con minor agonia. O forse era solo una suggestione, fatto sta che Socrate non si spostava mai dal letto di chi stava male.
Saltava il pasto, andava di corsa a fare i bisogni nella sua cassetta, ma immancabilmente era lì, silente, immobile e in attesa. Per poi dileguarsi poco prima dell’arrivo della mietitrice.
Il fatto che aveva preoccupato di più, riguardo a Ennio, era stata per l’appunto l’assenza del gatto dagli occhi gialli la sera prima.
«È sempre così» disse Alessia. «Li accompagna fino in fondo, poi ognuno va per la sua strada.»
Rientrarono in ufficio, e Marco chiese di poter fare qualche fotocopia dei documenti che erano nella busta che aveva aperto poco prima.
Alessia gli disse che poteva prendere tutto: dato che non c’erano parenti poteva tenerla il servizio sociale.
Marco le chiese qualche informazione su altri ospiti che erano stati inseriti con il suo aiuto, la presenza dei familiari, la prossima riunione del comitato di partecipazione, al quale era sempre invitato.
E alla fine se ne andò.
Prima di salire sul motorino si voltò a guardare la finestra al primo piano, l’affaccio della camera di Ennio.
I vetri erano spalancati e, sebbene da tanti anni non si sbattessero più i materassi o si stendessero le coperte, il segnale che la morte era stata lì di recente era sempre, e fin troppo, ben visibile.
Mi è piaciuto il parlare del gatto all’interno di una struttura residenziale, fatto proibito ma assolutamente terapeutico. Terapeutico nella misura in cui sostiene aspetti quotidiani semplici della vita delle persone. Certamente i limiti vanno rispettati nell’interesse di una convivenza civile. C è chi è allergico chi non poteva sopportarli da giovane, cisono regole igieniche. Ci riempiamo la bocca con la pet therapy che ha orari e modalità prestabilite e la presenza di un gattino in una struttura è in genere vietata. Salvo eccezioni mai dichiarate. La narrativa è bella anche per questo, le sono concesse tutte le libertà.
Marco Andrade ci sta portando nel mondo, per noi addetti ai lavori non troppo misterioso ,delle strutture residenziali per anziani. Mi chiedo che cosa abbia in serbo per noi. Attendo il prossimo venerdì.