In anteprima, il nuovo capitolo del sequel di “Per altre vite”.
Da oggi, per i prossimi 7 venerdì: piccoli assaggi, piccoli morsi.
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Al rientro in ufficio Marco trovò una mail di Alessia, la direttrice della casa di riposo Villa Mazzanti, struttura poco distante e austera come un tempio abbandonato.
Nel testo si leggevano alcune scarne informazioni sul decesso di un loro ospite e sul fatto che non ci fossero parenti, nemmeno alla lontana, disponibili a ritirare i suoi averi, o ciò che ne restava.
Prese il telefono ed ebbe la conferma del presentimento che aveva avuto leggendo quelle righe.
«Sì, dottor Andrade, si tratta di Ennio: è morto stanotte. L’ha trovato l’operatrice del turno del mattino» gli disse Alessia.
Marco rimase in silenzio, quella di Ennio era una morte per certi versi annunciata, sempre sulla soglia di un’esistenza da anni al termine di ogni velleità.
Ma gli dispiaceva ugualmente, e sinceramente.
Gli avevano insegnato a tenere una certa distanza emotiva con le persone, specialmente con gli anziani e con i bambini, per evitare di farsi trascinare nel baratro della loro disperazione.
Si chiamava distanza terapeutica, ed era una barriera eretta a difesa di chi lavorava tutti i giorni, e troppo intensamente, a contatto con il dolore. Ovviamente facile a dirsi, a volte anche semplice da farsi, risultando talvolta freddi; ma non sempre, non con tutti.
«Grazie, passerò da voi nel pomeriggio» rispose Marco.
Ennio era una vecchia conoscenza dei servizi sociali, un vecchietto affetto dal morbo di Alzheimer che ogni tanto si presentava in ufficio scambiando Marco per un suo vecchio amico o chissà chi.
In effetti era qualche tempo che non aveva avuto più notizie di lui.
Leggendo non ho potuto notare come si riesce ad entrare nel mondo di Andrade, la sua impossibilità di poter conoscere emotivamente a fondo le persone lo porta a rispondere alla notizia del povero defunto in modo freddo senza nessun accenno o pausa di riflessione. Questo fatto rispecchia perfettamente la realtà e come, nel lavoro di Andrade, l’emotività conta poco o nulla.
L’emotività va tenuta in debita considerazione, ma c’è e non si può negare.
Farlo significherebbe commettere un errore delicato come l’esserne travolti.
La distanza terapeutica……la supervisione professionale….spesso risultano a noi professionisti muri importanti per non trasferire le emozioni..i pensieri..i sentimenti oltre il confine della nostra professione quotidiana, nella nostra vita privata…Con l’esperienza e con il passare del tempo, scoprendo le infinite sfumature del disagio…impari anche ad accettare che una parte di te…la più empatica si lasci coinvolgere quel tanto che occorre perché anche il tuo privato possa riconoscere che dietro la serenità familiare esiste…altro…una matrice educativa.. chiamiamola così. Ai miei alunni all’università insegno …anche questo….che ascoltare soltanto …le persone è già tanto per loro, un po’ come Marco faceva informalmente con Ennio che passava a trovarlo senza sapere a volte chi fosse ed il suo ruolo……
Hai ragione, Loredana, spesso si sottovaluta la potenza rigeneratrice dell’ascolto.
Che è stato definito come la capacità di comprendere ciò che l’altro non dice.
E quali sono stati gli ultimi pensieri di Ennio?
Su quello non ci avevo ancora… pensato.
Forse qualcosa sulla balle di fieno che doveva restituire a Renato.