«Allora il mondo va così, che noi lo vogliamo oppure no. Se non fosse la Fratellini sarebbe un altro assessore, o il sindaco in persona. I politici pensano che il servizio sociale sia roba loro, che possano prendere decisioni e poi scaricarle su di noi. Ascolta i loro discorsi: noi siamo i loro servizi sociali; noi siamo roba loro. E ne intendono disporre come credono, perché credono che non serva una seria preparazione universitaria e scientifica per lavorare con il disagio. Le più bigotte, come questa qui, ci mettono anche un afflato pietistico piuttosto ributtante.

Noi abbiamo un’attitudine etica e deontologica, che come tutte le attività umane può avere la sua mela marcia, ma che resta la più straordinaria delle avventure: quella dell’aiuto. Ma per il politichetto di paese esistono solo opportunità, voti e amici. Per loro basta usare il buon senso e avere qualcuno a cui dare la colpa se non si riesce a mantenere le promesse.»

Marco lo seguiva con attenzione.

«Allora abbiamo due possibilità: o seguiamo la corrente, e sopravviviamo; oppure ci opponiamo e, inevitabilmente, scompariamo. Forse con la coscienza un po’ più leggera, ma scompariremmo. Siamo una professione con potenzialità enormi, ma con uno status molto debole.»

Marco comprese che il direttore non aveva tutti i torti, almeno nel descrivere la loro situazione e di come, da sempre, chiunque pensasse di poter dire la sua nel sociale.

Tanto più, individui che ne traevano vantaggi di vario tipo.

Nessuno si azzarderebbe mai a dire qualcosa a un avvocato per come scrive un ricorso; o a un ingegnere su quanto acciaio usi per fare un ponte. Se non altri avvocati o ingegneri; in genere, però, fra cani non si mordono.

Ma tutti, dal politico al giornalista, dal benzinaio all’impiegato, si sentono pienamente in grado, e in diritto, di fare gli assistenti sociali: ascoltare, comprendere i bisogni dei più deboli, valutare, progettare, attivare.

Si sentì addosso lo sconforto di chi sapeva, alla fine, che avrebbe fatto quello che si aspettavano da lui.

Non era certo un Don Chisciotte, e si fece un po’ schifo.

«Pensaci bene, Marco» gli disse Draganic, inforcando gli occhiali e rivolgendosi nuovamente al monitor del computer.

Prima di uscire Marco si voltò e gli disse: «Toglimi una curiosità, Luigi: la metafora della cacca mi è chiara, ma il gatto? Ha un senso anche il gatto?»

Draganic riprese gli occhiali, iniziando a pulirli con cura.

Poi sorrise, con gli occhietti piccoli che restavano freddi e seri; un sorriso beffardo e tagliente.

«Significa che, soprattutto quando pensi di essere nella merda, è sempre meglio tenere la bocca chiusa.»

Poi si voltò, inequivocabilmente, senza aggiungere altro.

Marco comprese.

Maledisse mentalmente il direttore, la Fratellini e se stesso.

E se ne andò.

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