«Molto bene, Marco» disse l’assessore. «Ora però devo proprio scappare, ho una riunione in Comune per aiutare altri cittadini.»

«Scusi, assessore, un’ultima domanda: perché questo suo amico non è venuto a parlane direttamente con me?» chiese Marco.

Fratellini lo squadrò, sempre indecisa sul definirlo un idiota o un provocatore.

«Certe questioni devono restare, diciamo, riservate» disse l’assessore con tono paziente, convinta a questo punto dell’idiozia di Marco.

«Ci sono persone che non possono certo andare nell’ufficio di un assistente sociale a raccontare gli affari loro.»

Prese il cellulare, che non smetteva di vibrare, e lo mise nella borsetta, quindi si alzò.

«Potete rivolgervi alla mia segreteria per tutto quello che servirà. Ovviamente non è opportuno fare troppe domande sulla questione patrimoniale, ci penserete voi a trovare delle soluzioni in linea con le nostre aspettative» concluse uscendo, con un tono che non lasciava spazio ad altro.

Marco la mandò mentalmente affanculo e la guardò andarsene.

Una volta uscita la Fratellini, Draganic riprese rapidamente colore e assunse il solito atteggiamento distaccato e altezzoso. Il suo cambiamento così rapido, anche somatico, era davvero sorprendente.

«Se non hai bisogno di altro puoi andare, Marco» disse indossando gli occhiali e girandosi verso il computer.

Marco scoppiò a ridere.

Draganic si girò e lo fulminò con lo sguardo.

«Che cosa ci sarebbe da ridere?»

«Ma ti sei sentito, Luigi? E tu saresti un direttore dei servizi sociali?»

«Che intendi?» disse Luigi, avvampando.

«Ti sei appiattito di fronte alle richieste assurde di questa tizia piena di arroganza.»

«Le tue idee politiche non mi interessano, Marco.»

«Non girarci intorno e non fare il finto tonto, Luigi. La politica non c’entra affatto, e lo sai bene. Qui si parla di tutelare la nostra professione.»

Draganic lo guardava in silenzio.

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